Dal no al sì

Sì, il lessico è cambiato. Termini come antinebbia (i fari), antiuomo (le mine), antipatiche (le cugine) sono spariti e il prefisso anti- si è intimamente legato a virus e ha iniziato a circolare in tutti i social, in modo, appunto, virale. Il verbo tamponare,che portava dritti dal carrozziere o bloccava il sanguinamento di una ferita, oggi invia al drive through, dove una task force di eroi, in prima linea, in trincea, in questa guerra che ci ha costretti a due lockdown,ci spiegherà che negativo, a volte, è meglio di positivo. Anglicismi, nuove parole, significati che cambiano. La casalinga di Voghera, abbandonato il lievito madre, si è avventurata in conversazioni telematiche, pronunciando termini come Zoom o Whatsapp, con disinvoltura. Studenti abituati a lavorare su libri e quaderni si sono visti catapultati nella DaD, acronimo di Didattica a Distanza, e hanno scoperto che improvvisamente quei cellulari e quei tablet da cui genitori e insegnati si affannavano a tenerli lontani sono diventati indispensabile materiale scolastico. Anteporre il no a ciò che non si condivide è diventato di gran moda, generando termini che indicano una scelta ma che connotano anche una negatività a prescindere, una sfiducia generale, una indisponibilità di fondo, un’attitudine a vedere trame e complotti dietro ogni angolo. Quel che occorre ora, invece, è cambiare paradigma e illuminare le frasi con un sì. Sì perché si vuole partecipare, perché ci si vuole impegnare in prima persona, perché ci si vuole fidare, perché si riconosce la competenza. Sì, perché il futuro è fatto di partecipazione, di collaborazione, di condivisione, di senso di responsabilità verso la collettività. Sì, perché questa parentesi della nostra vita prima o poi dovremo chiuderla, guardando avanti, disponibili, solidi, determinati, Sì, perché essere positivi possa tornare a essere meglio.

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