Ricostruire il presente

La pandemia ha portato, come effetto globale, l’allontanamento dall’altro, il ripensamento dei contatti interpersonali e, con un orribile termine entrato di forza nel lessico quotidiano, il distanziamento sociale. Abbiamo dato un senso nuovo ai termini. Negativo e positivo hanno praticamente invertito il significato relativo e confuso il significato assoluto. La distanza è diventata una priorità organizzativa. La relazione con pochi un vanto. La chiusura una modalità di vita. Alla fine abbiamo sostituito la “bella presenza” con un’ottima assenza. Ma la ricerca della solitudine non è stata una scelta ascetica, meditativa, intima, è stata una difesa della vita, quella biologica non quella di relazione, una fuga pavida, un innaturale negarsi. Più che un ritiro, un abbandono. Abbiamo abbandonato il territorio, i luoghi, le funzioni. Abbiamo interposto mediatori di immagini e suoni tra noi e gli altri. Abbiamo accettato nuove liturgie scandite da modalità di gestione a distanza, videochiamate, media, social. Abbiamo trovato, con la distanza, un nuovo coraggio, una determinazione a volte al confine con l’aggressività.
E ora? Ora dobbiamo uscire, abbandonare le nostre zone di tranquillità e tornare all’attività sociale. Con qualche paura in più, con qualche disponibilità in meno. Dobbiamo sostituire il personale con il pubblico. Ripartire dal volontariato, tornando a lavorare nelle associazioni, in ambito culturale, sportivo e ricreativo. Consolidare le basi, tessere le reti di relazione, ricostruire con nuova consapevolezza, una vita pubblica. Occorre tornare a vivere insieme per ridare valore al rapporto con gli altri e ai legami di solidarietà. Un passo alla volta, perché prima occorre ricostruire un presente, se vogliamo pensare al futuro.

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